Trentuno anni fa. Esattamente 31 anni fa intorno alle 7:30 don Peppe Diana venne assassinato in sagrestia poco prima della Santa Messa. Il mandante dell’omicidio fu il capoclan Nunzio De Falco, boss casalese morto nel 2022 ma in netto contrasto con l’ala maggioritaria del clan guidata dal Francesco Schiavone “Sandokan”. Ad assistere all’esecuzione in quella orribile mattinata fu Augusto Di Meo, fotografo e grande amico del parroco casalese che non esitò a denunciare il killer (Giuseppe Quadrano) del sacerdote antimafia. Ma più che ricordare la (terribile) morte di don Diana preferiamo ricordare la vita e le imprese che l’hanno consegnato alla storia. Don Diana nel 1991 riprese un vecchio documento della Conferenza Episcopale Campana del 1980 mai realmente valorizzato e lo riprese contestualizzandolo al periodo in cui era parroco a Casal di Principe. Il celeberrimo documento intitolato “Per amore del mio popolo non tacerò” fu consegnato alle chiese di Casal di Principe e dell’Agro Aversano il 25 dicembre 1991. A Natale.

Fu una scelta rivoluzionaria, e forse non compresa da tutti, rispetto ai temi toccati nel documento che potete trovare sul web e che in sostanza denunciava il degrado del territorio agro aversano e la commistione terribile fra camorra e politica. Invitando peraltro il popolo a prendere le distanze. Dunque non fu un appello astratto a colpi di slogan. L’eco di quel documento ebbe proporzioni inimmaginabili. Soprattutto se pensiamo al contesto in cui era immersa Casal di Principe insieme ai comuni circostanti. Facciano un piccolo passo indietro. Qualche anno prima a maggio 1988 scomparve nel nulla Antonio Bardellino, leader indiscusso della Nuova Famiglia che trasformò la mafia in Campania rendendola una holding economica non più suddita della logica parassitaria al servizio della politica. Qualche anno dopo invece a marzo 1991 fu ucciso a Cascais in Portogallo Mario Iovine, braccio destro di Bardellino. Tutto ciò portò a un vuoto di potere che la fazione casalese guidata da Francesco Schiavone “Sandokan” e Francesco Bidognetti, all’epoca giovani rampolli agli ordini di Bardellino, tentò di riempire a colpi di guerriglia e morti ammazzati. Da lì si innescò un’escalation di morti ammazzati senza precedenti. Le persone avevano persino paura di frequentare le piazze cittadine e si affrettavano a tornare a casa. Addirittura di sera era proibito uscire per evitare di trovarsi in qualche commando di camorra. Una roba indescrivibile e che possiamo raccontare grazie alle testimonianze di chi ha vissuto quell’epoca.

Ma tutto ciò continuò mentre don Diana nutriva grande preoccupazione per i suoi compaesani. Una preoccupazione mischiata con la rabbia di chi doveva fare qualcosa. E così fu. Il sentimento fu grande fino al giorno in cui lo stesso don Diana maturò la scelta di divulgare il documento che sottoscrisse insieme ai parroci della Forania di Casal di Principe. Il resto lo conosciamo tutti. Ma quell’esperienza ha segnato uno spartiacque in crocevia. Anzi. Ha prodotto qualcosa che non si era mai visto prima. Possiamo dire con assoluta certezza che don Diana ha inventato l’Antimafia. E l’ha resa un movimento popolare capace di formare intere generazioni. Chiesa e popolo insieme. Pezzi del mondo cattolico e della società civile che abbandonarono la via generica della lotta alla “violenza” (perché per chi non lo sapesse in quel periodo era vietato usare la parola “camorra”) e si diedero un’organizzazione mettendo in piedi la “santa alleanza” fatta da sacerdoti, politici, cattolici, studenti, lavoratori e fedeli di quella terra. Una vera e propria coalizione contro la mafia che s’impegnò a coinvolgere pubblicamente un popolo impaurito e rinchiuso nelle proprie abitazioni affinché partecipasse alle decine di marce e di convegni organizzati in quel periodo nelle piazze, nelle parrocchie e nelle scuole. Ma don Diana non fu solo. Insieme a lui ci furono molti compagni di viaggio che hanno scritto un pezzo di storia in provincia di Caserta e in tutta la Campania. Su tutti ricordiamo monsignor Raffaele Nogaro, vescovo della diocesi di Caserta,  Renato Natale, storico sindaco di Casal di Principe, Lorenzo Diana, ex parlamentare della sinistra che fu oggetto di un piano di uccisione del clan dei Casalesi ancor prima che entrasse in Parlamento, don Paolo dell’Aversana, parroco del santuario di Villa di Briano, lo stesso Augusto Di Meo, fraterno amico del parroco casalese che ancora oggi tramanda ai giovani il pensiero di don Diana. E potremo citarne altri per raccontare a distanza di anni quanto sia stata importante l’opera antimafia inaugurata da don Peppe Diana.

Ora però la domanda sorge spontanea. Dopo oltre 3 decenni qual è la memoria lasciata da don Diana? E cosa occorre affinché la sua memoria non vada perduta? Noi facciamo una proposta. Anzi, un appello alla diocesi di Aversa. In particolare modo al vescovo monsignor Angelo Spinillo. Acceleri l’iter di beatificazione di don Peppe Diana. Proprio così. Pure perché uno degli elementi affinché don Diana diventi beato è il martirio. Ma si faccia presto. Si faccia subito. Nel 2015 la Diocesi di Aversa chiese alla Santa Sede il processo di beatificazione. Da allora non si è saputo più nulla. Qual è l’obiettivo? A che punto è l’iter? Perché tutta questa lentezza? Oramai le falsità sul suo conto sono state ampiamente smentite negli anni. Ora siamo nuovamente qui a ripetere le stesse cose. Come ogni anno. Quasi a diventare noioso. Solo che la litania alla lunga stanca. 19 marzo 2025. Punto e a capo. La Diocesi non resti sorda. Accolga il nostro appello. Rinnovi il percorso per beatificare don Diana. Prima che il silenzio prenda il sopravvento.