Qualcosa si è finalmente mosso. Peraltro in una direzione quasi inaspettata anche se il traguardo resta ancora lontano. Ma meglio tardi che mai. A distanza di oltre 30 anni don Peppe Diana merita di più e di meglio rispetto agli esercizi di memoria, peraltro importantissimi affinché le future generazioni conoscano e tramandino la sua incredibile storia, che da decenni si ripetono ciclicamente in Campania. Attenzione, qui non discutiamo i momenti di riflessione che restano sacrosanti. Ma a questi occorre aggiungere un risultato che capitalizzi le fatiche di un intero popolo. Addirittura In questi giorni è intervenuto su Repubblica a firma di Raffaele Sardo, maestro vero di giornalismo a differenza di qualcuno, il Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Francesco Savino, che in sostanza lancia un appello chiedendosi i motivi per cui la richiesta di beatificazione sia ferma da 10 lunghi anni. È un caso più unico che raro, inutile girarci intorno. Un grande enigma sul quale continueremo a incalzare la Diocesi di Aversa affinché tutto diventi più chiaro. Una volta per tutte. Tuttavia la richiesta di beatificazione fu formalizzata dal Comitato Don Peppe Diana, da Agesci Campania e da altre associazioni locali il 18 febbraio 2015 e inviata proprio all’attuale vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Angelo Spinillo.
Il documento (che trovate integralmente alla fine dell’articolo) recita così: “Eccellenza Reverendissima, è ormai imminente la ricorrenza del 21esimo anniversario dell’uccisione di don Giuseppe Diana, giovane sacerdote di questa Diocesi ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo 1994. Mai in Campania si era registrata tanta e inaudita violenza dalla camorra che, come la mafia a Palermo con don Pino Puglisi, riuscì a spezzare quello che fino ad allora era sembrato un tabù, un sacrilegio, quello di uccidere un sacerdote e farlo addirittura nella sua parrocchia. Don Giuseppe Diana fu assassinato in un mattino di acerba primavera, in quel breve tratto di strada fra la sagrestia e la chiesa, fra la riflessione e la preghiera, fra la quotidianità della strada e la solennità della celebrazione eucaristica, tra lo spezzare delle catene e la ricerca di libertà. Nella nostra ingenuità di allora avevamo creduto che mai una cosa del genere sarebbe potuta accadere, nel mentre, in un attimo di sconforto, credemmo di aver perso tutto. E invece quella morte non è stata vana, quel chicco di grano caduto in una terra dura e arida ha dato i suoi frutti che rigogliosi cominciano a rosseggiare sulle tavole finalmente in festa di un popolo che ricomincia a camminare verso una nuova alba di giustizia e di pace. Quella morte ha compiuto il “miracolo” che tutti attendevamo: resistere prima allo strapotere della camorra e liberarsene poi, in modo consapevole e corale per non abbassare più la testa e lo sguardo. Don Peppe ha testimoniato un amore smisurato per la sua terra, ha vissuto il sacramento dell’incontro offrendosi soprattutto ai giovani, ai quali voleva tanto bene, vivendo con loro e donandosi in pienezza fino a perdere le vita, attingendo la forza della parola nell’Eucarestia e nella preghiera semplice che amava fare, soprattutto a sera, dopo una giornata frenetica e intensa passata sulla strada. Don Peppe è stato un “pazzo” innamorato di Dio, così come l’ha definito monsignor Nogaro, un sacerdote che ha fatto della preghiera l’arma per entrare in tutte le coscienze, un sacerdote che ha pregato per una chiesa povera, senza privilegi, per una vita pienamente libera. Don Peppe ha amato il suo popolo, non ha taciuto di fronte ad alcun sopruso, ha pregato perché ci si riappropriasse delle strade e dei vicoli, per madri sofferenti vestite a lutto per figli troppi giovani persi dentro i vortici del male, ha pregato per non arrendersi alla sopraffazione, ha pregato ritirandosi nel suo Getsemani, vegliando l’aurora fino al martirio.
Oggi migliaia di giovani, in primo luogo scout, affascinati dal suo esempio e dai suoi sogni di libertà, dal suo modo semplice di essere prete, accorrono da ogni parte d’Italia per visitare la sua tomba, dire una preghiera, portare un fiore, conoscere i luoghi, le vie che ha calpestato, le persone che ha incontrato e con le quali ha percorso un tratto di strada. Don Peppe Diana è stato la luminosa testimonianza che ribellandosi alla prepotenza della malavita organizzata ha vissuto la lotta in termini specificamente cristiani: armando l’animo di eroico coraggio per non arrendersi al male ma pure consegnandosi con tutto il cuore a Dio. Giuseppe Diana è il riscatto delle nostre terre sempre oppresse, è l’anima pulita della nostra Chiesa meridionale. Pertanto come Comitato Don Peppe Diana impegnato da tempo in percorsi di memoria e di impegno, come Agesci Campania, a nome di tante altre associazioni, fedeli e pastori del popolo di Dio, di valutare di aprire secondo i modi e i tempi consentiti, la causa di beatificazione di don Peppe Diana, perché questa testimonianza luminosa possa essere di esempio per tanti giovani che si lasciano attraversare dal Vangelo lungo i percorsi di fede e speranza. Affidiamo questa richiesta a Maria, madre della Chiesa e madre nostra, soccorritrice amorevole a cui don Peppe spesso ricorreva.”
Più chiaro di così si muore. Il contenuto del documento è struggente, è una richiesta di giustizia che affonda nel tempo ed è la sintesi di anni di battaglie della società civile che inaugurò la propria stagione proprio con don Peppe Diana. Ma a questo popolo, ai familiari, agli amici di una vita occorre una risposta. Chiara e netta. Perché la beatificazione di don Diana è ferma da 10 anni?
